Arizona: Page, Lake Powell

Partiamo verso le 8.00 del mattino, fuori fa freddo, talmente tanto che troviamo la superficie della macchina ghiacciata. Ci immettiamo nella route 89 e in circa 2 orette e mezza arriviamo a Page, Arizona.

Qui negli U.S.A. è curioso il fatto che ogni stato abbia un suo setting, e una sua vegetazione caratteristica, almeno per quanto abbiamo potuto appurare noi; quello che colpisce in Arizona è la prevalenza del rosso, sull‘asfalto,sul terriccio degli altopiani, non solo sulle montagne,ovunque, sembra un immenso campo da tennis di terra rossa!

Entriamo dunque in quello che viene chiamato il Glenn Canyon NRA ( National recreation area) e la prima cosa che vediamo è il Lake Powell. E’ un grande bacino artificiale di circa 300km, formatosi grazie alla creazione di una mega diga costruita nel 1963; ovviamente proprio a ridosso della diga, c’è un visitor center, entro cui puoi entrare solo dopo aver lasciato in macchina tutto ( bagagli, borse, pistole!,monete…tutto quello che fa suonare il metal detector), e dentro si trova un bel plastico della zona, fotografie, e quant’altro possa interessare la costruzione e la storia della Glenn Dam . Abbiamo approfittato della bella libreria per prenderci dei libri monografici sui canyons, visto che lo shop era tax free…

Considerato che il Lake Powell è praticamente un piccolo mare, gli americani lo utilizzano come tale e quindi vi potete ammirare porti, barche, moto d’acqua che sfrecciano all’orizzonte ; tenete conto che noi ci siamo andati di domenica, quindi sembrava veramente il mercato, era pieno di gente.

C’è da dire anche che mentre noi andiamo in spiaggia eventualmente con la macchina più piccola che abbiamo per riuscire a trovare uno straccio di parcheggio, qui arrivano con immensi pick up, trainanti carrelli altrettanto grandi con sopra moto d’acqua, o quad ,oltretutto arrivano fino in riva al mare con questi transatlantici ,o con i già descritti “piccoli camper”: è la solita solfa, qui è tutto più grande e dilatato.

Lungo la strada vediamo una piccola e insignificante ,direi pure, indicazione per il Lone Rock…per fortuna che l’abbiamo seguita, si arriva al Lake Powell in un punto in cui al centro dell’insenatura del lago si erge maestoso un grandissimo monolite: è lui, la montagna sola, che pare voglia lanciare un monito a tutte la barche che gli passano vicino:” guardate che qui comando io!”

Riprendiamo la macchina facciamo tappa al bagno della stazione balneare, pulitissimo come tutti quelli che abbiamo trovato nei vari parchi, mentre sto uscendo sento un rumore alle mie spalle proveniente dai cespugli: una lucertola uguale alle nostre sì…ma, lunga 40 cm…..risalgo in macchina volando e penso a quanto fortunati siamo noi italiani!!

Finalmente entriamo a Page, andiamo al nostro hotel il Best western Arizona Inn, dove ovviamente alle 11 ci dicono che la camera non è pronta per il check in, e di tornare verso le 15, così andiamo in centro e ci mettiamo in movimento per cercare un Touring shop per il viaggio organizzato all’Anthelope canyon….niente tutto esaurito….stanchi e sconsolati per noi la cosa migliore da fare ,è per lo meno, mangiare e pensare a cosa fare. Ci rifocilliamo con 2 panini presi al centro commerciale e:” alea iacta est”!

Decidiamo di arrivare in macchina fino all’Anthelope point, e da lì, sperare che qualche pulmino ci porti all’Anthelope canyon…

L’Anthelope canyon , se passate da queste parti, dovete assolutamente andare a vederlo, si trova all’interno della riserva navajo, infatti si pagano 6 dollari a testa per entrare all’Anthelope point, e per arrivarvi sono altri 25 a persona.

Non si può accedere se non in un viaggio organizzato da Page, oppure appunto recandosi all’Anthelope point e pagare il biglietto; in entrambi i casi il pick up è guidato e gestito da navajos, che vi guideranno per un bel tratto di deserto rosso, senza troppa cura del fatto che ad ogni duna, i passeggeri dietro sobbalzino come sulle montagne russe, anzi credo faccia parte del gioco, perché la velocità è molto sostenuta!

L’anthelope canyon è così chiamato perché si è formato in una zona che quando era un po’ meno brulla era abitata dai pronghorn ( vi ricordate? quelli che avevamo incontrato al Bryce), è essenzialmente una lunga e stretta fessura che si è aperta nella roccia, grazie all’azione dell’acqua e del vento…ma la roccia è levigata e modellata in modo tale che sembra sia stata passata in un tornio, e che mani esperte l’abbiano ridisegnata in forme tonde magnifiche , ovviamente i giochi di luce ed ombra che entrano dalle aperture in alto, fanno il resto: la gamma di colori, va dal rosso al viola al nero, all’oro; mettendo la macchina fotografica nei punti strategici dove la nostra guida indiana ci indica riusciamo a fotografare delle forme che a momenti sembrano un orso, altri dei volti umani, altre volte ancora il profilo appuntito di un’aquila….è un’esperienza affascinante, fino ad oggi in questo viaggio non ancora provata. Il ragazzo che ci guida , un nativo, è stanchissimo, mi dice che fa questo giro 6-7 volte al giorno, ed effettivamente ci credo che sia affaticato, con questi caldi! Ma mi da l’impressione che ci sia qualche cosa di più, dietro a quel l’affaticamento, ne ho una conferma ,anche quando ci racconta tristemente che un tempo in questo canyon sua nonna andava a portare le pecore al mattino presto a brucare, i bambini la seguivano e si divertivano , c’era più verde, c’era più spazio, adesso il deserto si è mangiato tutto…e ovviamente le dune di sabbia non sono le uniche responsabili di questa sua malinconia…

Ci racconta che fu proprio la nonna a scoprire il canyon perché cercava una pecora che si era smarrita e meraviglia delle meraviglie, quando arriviamo in uno scorcio abbastanza buio e silenzioso ( ci sono torme di turisti, per cui è facile incrociarsi, perdendo tutta la magia del luogo), incomincia ad intonare una melodia tipicamente indiana con il suo flauto, ha un suono caldo, pieno, molto spirituale come lui poi ci sottolineerà.

Le pareti del canyon sembrano fare da anfiteatro e amplificatore naturale al suo dolce suono, per un attimo, per un solo dolce, solenne attimo sembra di veder rinascere la maestosità di quel fiero popolo che è stato un tempo quello dei navajos, negli occhi della nostra guida….poi , però tutto finisce e così usciamo dal nostro angolo di irrealtà, risaliamo nel pick up e torniamo da dove siamo venuti.

Sul retro del pick up la scritta “tipping is appreciated from the guide” ci riporta all’ordine…è pur sempre un uomo…no?

Tornati facciamo finalmente il check in , ci riposiamo un po’ e dopo riusciamo – fino alla fine! – per andare a vedere il maestoso Horseshoe Bend, poco a sud di Page sulla US89 che porta a Flagstaff. Un piccolo spiazzo adibito a parcheggio indica l’inizio del breve trail che porta al “salto” nel fiume Colorado.

Arrivando al limite si guarda giù, e la vista è davvero da capogiro: uno strapiombo mozzafiato da qualunque punto di vista si guardi , le acque del Colorado di un verde azzurro intensissimo sono tagliate in 2 da una lingua di terra che si protende in avanti verso di noi, enorme, altissima, imponente…una meraviglia! Scattiamo qualche foto, evitando accuratamente i bordi…è davvero pericoloso, non ci sono protezioni, e si rischia veramente di cadere giù se non si sta attenti.

Ritorniamo al nostro albergo, decidiamo di mangiare alla sua steak house dove spendiamo circa 60 $… a little expensive…ma, questo è il prezzo per non mangiare ogni sera al Mc Donald, o al Burger King…

Finita la cena cadiamo nei letti in un sonno profondo pronti per la Monument Valley…

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